giovedì 27 marzo 2014

Coppe di Pandoro e mascarpone con pere caramellate

Pubblicato in Doctor Wine n°33
http://www.doctorwine.it/det_articolo.php?id_articolo=1041

di Katiuscia Rotoloni 21-12-2013
Ingredienti per 6 persone:
- Un pezzo di pandoro di circa 200 gr.
Per la crema:
- 250 gr mascarpone
- 100 gr zucchero
- 3 uova
- Un pizzico di sale
Per la bagna:
- 100 ml rum
- 150 ml acqua
- 40 gr zucchero
- 1 scorzetta di limone
- 1 e ½ pera Kaiser
- 6 foglioline di menta
- 50 gr cioccolato fondente 
Procedimento:
Tagliare il pandoro a fette di circa 1 cm di spessore.
Dividere i tuorli dagli albumi. In una ciotola, mettere metà dello zucchero nei tuorli e montarli con una frusta. Aggiungervi il mascarpone e continuare a battere fino a che la crema prenda una certa consistenza.
Montare gli albumi a neve con l’altra metà dello zucchero e un pizzico di sale. Unirli delicatamente alla crema di mascarpone e mettere in frigo.
Per la bagna: mettere un pentolino sul fuoco con l’acqua, la scorzetta di limone e lo zucchero per preparare uno sciroppo. Lasciarlo freddare, quindi unirvi il Rum.
Sbucciare le pere, dividerle in quarti e togliere il torsolo. Dividere ciascun quarto in tre fette longitudinali e farle caramellare disponendole delicatamente su una padella antiaderente ben calda, spolverizzate di poco zucchero a velo.
Mettere sul fondo di ogni coppa uno strato di pandoro, bagnare con lo sciroppo al rum e ricoprire di crema. Fare un secondo strato e lasciare freddare.
Sciogliere il cioccolato e decorare la superficie con una griglia o secondo fantasia personale.
Porre delicatamente tre fette di pera caramellata aperte a ventaglio su un lato di ciascuna coppa e decorare con una fogliolina di menta per un tocco di colore.

Vino in abbinamento:

Recioto di Gambellara Docg Spumante Zonin



Delicatamente dolce, con giusta fragranza, fruttato, rotondo e leggero.
Zona di produzione: Gambellara (Vicenza)
Uva: garganega 100%
Vinificazione e affinamento: Dopo la cernita e la vendemmia manuale, i grappoli vengono sistemati in locali appositi, aerati e secchi, per l’appassimento. Processo che serve ad innalzare il tenore zuccherino delle uve. L’appassimento dura un paio di mesi circa, trascorsi i quali si procede alla pigiatura e alla fermentazione, che avviene a temperatura controllata a 18° C. La fermentazione lenta favorisce l’affermazione di aromi freschi e fruttati che si sposano felicemente con gli altri aromi sviluppatisi durante l’appassimento creando un insieme di rara eleganza.
Gradazione alcolica: 11% in volume
Temperatura di servizio: tra i 7° e i 9° C.

QUESTA RICETTA E' OFFERTA DA ZONIN

martedì 25 marzo 2014

Seppie arrosto con pomodorini confit

Pubblicato in Doctor Wine n°42
http://www.doctorwine.it/det_articolo.php?id_articolo=1129 

di Katiuscia Rotoloni 22-02-2014
Ingredienti per 4 persone:
- 8 seppie non troppo grandi (preferibilmente italiane)
- Olio extravergine d’oliva
- Succo di limone
- Sale
- Prezzemolo tritato
- 8 Pomodori confit
- Profumi per il confit (spicchi d’aglio, timo, buccia di limone)
- Zucchero a velo q.b.


Procedimento:
Per i pomodori confit: in una teglia mettere i pomodorini interi condirli con un filo d’olio, sale, una spolverata di zucchero a velo, 3 spicchi di aglio in camicia, dei rametti di timo e buccia di limone privata del bianco. Metterli in forno preriscaldato a 100° per 3 ore circa o finché saranno appassiti.
Per le seppie: pulire le seppie, facendo attenzione a non rompere le sacchette del nero. Conservarne due. Portare a bollore una pentola di acqua, immergervi le seppie pulite per circa 5 secondi, quindi metterle in acqua e ghiaccio. Quest’operazione le renderà più morbide. Asciugarle bene con carta assorbente, togliere la pellicina esterna e condirle con succo di limone, sale, un filo d’olio e massaggiarle bene. Scaldare bene una piastra di ghisa o una padella antiaderente e cuocerle un paio di minuti per parte, tenendole leggermente schiacciate con una spatola.
Scaldare 1/2 bicchiere d’acqua in un pentolino, stemperarvi la sacchetta del nero, filtrare il tutto con una garza o un colino molto fine e tenere da parte.
Prendere quattro piatti bianchi, fare una striscia di nero con un pennello sul fondo di ciascuno e adagiarvi sopra due seppie e i pomodorini confit. Condire con olio sale e succo di limone e spolverizzare di prezzemolo tritato.


Vino in abbinamento:

Radici Fiano di Avellino Docg Mastroberardino




Un bianco in cui la complessità dei caratteri è esaltata da una densità che conferisce solidità e spessore. Offre una moltitudine di aromi al naso e in bocca mostra buona acidità, ma allo stesso tempo grande morbidezza.
Zona di produzione: il vigneto di Santo Stefano del Sole, dal terreno franco-sabbioso, profondo, ricco di elementi minerali. Esposizione sudovest e altitudine di 550 metri
Uve: fiano di Avellino 100%
Vinificazione: classica in bianco in serbatoi di acciaio a temperatura controllata. Affinamento in bottiglia per 3/4 mesi.
Gradazione alcolica: 13.5%
Temperatura di servizio: 12-14°

QUESTA RICETTA E' OFFERTA DA MASTROBERARDINO

giovedì 20 marzo 2014

Mezzelune ripiene di cicoria e primo sale alla carbonara

Pubblicato in Doctor Wine n°34
http://www.doctorwine.it/det_articolo.php?id_articolo=1046
di Katiuscia Rotoloni 28-12-2013
Per 4 persone:
Per la pasta:
- 300 g farina 00
- 2 uova intere
- 2 tuorli
- 1 cucchiaio di olio
Per il ripieno:
- 300 g cicoria fresca
- 120 g. primo sale
- 50 g. parmigiano reggiano
- 1 albume
- Noce moscata e sale q.b.
Per il condimento:
- 4 tuorli
- 1 cucchiaio di parmigiano
- 1 cucchiaio di pecorino
- Pepe q.b.
- 4 fette di guanciale
- 2 zucchine (solo la parte verde)

Procedimento:
Preparare la sfoglia, disponendo su un asse la farina a fontana con le uova e l’olio ed impastando fino a renderla omogenea. Farla riposare un’ora avvolta nella pellicola.
Sbollentare la cicoria in acqua salata, scolarla e strizzarla bene. Tritarla in un mixer con l’albume, il primo sale, il parmigiano, sale e noce moscata, in modo da preparare la farcia.
Stendere la sfoglia sottile, ricavarne dei cerchi con un bicchiere o un tagliapasta. Mettere un cucchiaino di ripieno all’interno, spennellare il bordo con un po’ d’acqua e chiudere ciascuna mezzaluna.
Sbattere le uova con il parmigiano, il pecorino ed il pepe in una ciotola.
Tagliare il guanciale sottilmente, soffriggerlo in una padella larga fino a renderlo croccante. Scolarlo dal grasso di cottura e metterlo da parte. Far saltare nel grasso del guanciale le zucchine tagliate a piccoli cubetti.
Lessare le mezzelune in abbondante acqua salata. Scolarle, versarle nella padella con le zucchine, e, a fuoco spento, aggiungere i tuorli sbattuti stemperati con poca acqua di cottura.
Servire cosparse con il guanciale croccante e spolverizzare di formaggio e pepe.

Vino in abbinamento:

Rosato Salento Igt Masseria Altemura




Gradevolmente fruttato, al gusto è fresco, armonico e strutturato, di delicata sapidità con finale lievemente amarognolo.
Zona di produzione: Agro di Torre Santa Susanna, Salento
Uve: negroamaro in purezza
Vinificazione e affinamento: le uve vengono delicatamente pigiate e diraspate, la macerazione dura circa sei ore, estraendo così gli aromi, una piccola parte di sostanza colorante e pochissimi tannini. La vinificazione è condotta a temperatura controllata con l’obiettivo di mantenere tipicità nei profumi e nel gusto del futuro vino.
Gradazione alcolica: 12,5% in volume.
Temperatura di servizio: intorno ai 14° - 16° C.

QUESTA RICETTA E' OFFERTA DA MASSERIA ALTEMURA

mercoledì 19 marzo 2014

Gocce di emozioni

Pubblicato in Doctor Wine n°46
http://doctorwine.it/det_articolo.php?id_articolo=1167
di Antonella Amodio 17-03-2014
Casale di Carinola è un piccolo comune in provincia di Caserta, che gode di una posizione collinare particolarmente felice; dista solo 18 km dal litorale Domizio e 15 dal vulcano spento di Roccamonfina; il panorama è rivolto sulle isole di Ischia, Capri e Procida e la sera si ammirano le mille luci del golfo di Napoli.
Poco distante dal centro storico, si trova San Paolo, dove la cantina Bianchini Rossetti è proprietaria di tre ettari di vigne assolate, grazie alle quali produce uno straordinario falerno bianco dal nome Mille880, omaggio alla famiglia Bianchini produttrice vinicola dallìepoca.L’azienda agricola nasce, invece, nell’anno 2000 grazie a Tony Rossetti e allo zio Francesco Bianchini. Le vigne, tutte reimpiantate, iniziano a produrre solo sei anni dopo pochissimi esemplari di bottiglie. Oggi quattro sono le etichette: Mille880 nella versione di Falerno bianco, rosso e rosè, e il Falerno del Massico riserva Saulo a base di aglianico e piedirosso.


martedì 18 marzo 2014

RISOTTO ALLA MILANESE una ricetta tra leggenda e storia

Una leggenda racconta che il risotto alla milanese sia nato nel 1574, durante i lavori per la costruzione del Duomo di Milano, per uno scherzo fatto da un lavorante del maestro vetraio Valerio di Fiandra, abilissimo nel creare effetti di colore strabilianti, grazie alla sua abitudine di miscelarvi piccole quantità di zafferano e per questo deriso da tutti. Il discepolo, in occasione del banchetto per le nozze della figlia del maestro, avrebbe mischiato un po' di questa spezia anche nel piatto di riso servito a tavola, suscitando inizialmente grande sorpresa,  e, dopo che i commensali l’ebbero assaggiato, un enorme entusiasmo.

La storia però contraddice questa fascinosa leggenda. Dal 1300 fino al 1700 circa si legge di riso bollito e condito con una serie d’ingredienti secondo il periodo: spezie, tuorli d’uovo, talvolta con la cervellata, tipico salume allo zafferano. Il primo riso saltato in poco burro e in seguito sfumato con brodo compare solo alla fine del secolo dei Lumi.

Solo nel 1829 nel "Nuovo cuoco milanese economico" di Felice Luraschi, celebre cuoco meneghino, si trova il “Risotto alla Milanese giallo”, con tanto di midollo di bue, zafferano e noce moscata, bagnato con del brodo, insaporito con cervellata e con formaggio grattugiato.

E dopo tante parole, anche se i documenti al riguardo chiederebbero di continuare, devo dire che mi è venuta fame, e credo sia doveroso riportare la ricetta, come si usa oggi e come ama prepararla il nostro Cuoco in Festa, accompagnandolo, come tradizione chiede, all'osso buco con la gremolada.

Ingredienti per 4 persone: 
320 g di riso Carnaroli
40 g. cipolla bianca
80 g burro
30 g midollo
1 bicchiere di vino bianco secco
2 l c.a. brodo di manzo
2 bustine di zafferano + 40 pistilli (3 bustine se non si hanno i pistilli)
50 g. Parmigiano grattugiato.
Procedimento:
Sbriciolare il midollo e stufarlo a fuoco basso in una casseruola insieme alla metà del burro e alla cipolla tritata per 20 minuti circa, aggiungendo, se necessario un po’ di brodo in modo che non prenda colore. Togliere la cipolla e metterla da parte.

Nella stessa pentola, tostare a fuoco vivo il riso, sfumarlo con il vino e aggiungere lo zafferano in bustina, stemperato in un po’ di brodo caldo. Continuare la cottura mescolando e aggiungendo brodo, un mestolo alla volta. Poco prima di spegnere, aggiungere la cipolla stufata ed i pistilli. Togliere dal fuoco, mantecare con il burro rimasto ed il Parmigiano freddi in modo da renderlo cremoso.

Far riposare il risotto per circa 3 minuti e servirlo su un piatto piano.




giovedì 13 marzo 2014

Salmone alla piastra su insalata di finocchi e olive

Pubblicato in Doctor Wine n°35
http://www.doctorwine.it/det_articolo.php?id_articolo=1054
di Katiuscia Rotoloni 04-01-2014
Per 4 persone:
- 4 tranci di salmone da 180 g.
- 2 finocchi
- Buccia di limone
- 10 olive
- olio
- Sale e pepe q. b.
Per la salsa acida:
- 250 ml panna
- 2 cucchiai yogurt
- ½ limone
- erba cipollina
- sale q. b.
- 1 cucchiaio d’olio extravergine

Procedimento:
Tagliare sottilmente con una mandolina i finocchi, porli in un insalatiera e condirli con olio, sale, pepe e buccia di limone.
Preparare la salsa, versando la panna in un pentolino e scaldarla fino a circa 50°. Incorporare, quindi, lo yogurt, il succo di limone, l’erba cipollina ed il sale.
Massaggiare con olio e poco sale i filetti di salmone e arrostirli su una piastra rovente dalla parte della pelle, in modo da renderla croccante. Girarlo e spegnere, lasciandolo coperto per un paio di minuti, per far arrivare il calore all’interno, pur lasciando la carne rosa e succosa.
Disporre i finocchi su un piatto da portata, adagiarvi sopra il filetto con la pelle verso l’alto e aggiungere qualche oliva. Accompagnare a piacere con la salsa acida e decorare con erba cipollina e pepe (se si gradisce).

sabato 8 marzo 2014

Maria Carolina 2011 Terre del Volturno igt Alepa: vino exoterico intitolato alle donne

di Antonella Amodio

Questo articolo e’ intitolato a Maria, Angelica, Erika, Lucia, Antonella, Rosa, Silvia, Tiziana, Giuseppina, Maria Grazia, Sandita, Micaela, Alessandra, Chiara, Ilaria, Adriana, Boshti,  Antonia, Domitia e alle altre 58 donne che dall’inizio dell’anno ad oggi hanno trovato la morte per mano di uomini – se così si possono definire – che ben conoscevano.

Accoltellate, strangolate, sparate e fatte a pezzi da qualcuno che dichiara amore; vittime di gelosia e rabbia di mariti, fidanzati, compagni, padri.

Dedicato altresì al milione di donne stuprate, abusate e minacciate e a tutte quelle che, per paura e sottomissione, non denunciano gli inenarrabili eventi che segnano indelebilmente la loro vita.

A Lucia, che con coraggio ha mostrato in pubblico il suo nuovo volto, sfigurato dall’acido per mano del suo ex fidanzato.

Questo è il quadro di un paese stretto dall’ignoranza e dalla cultura di un maschilismo così saldo e diffuso.

Maria Carolina d’Asburgo Lorena, Regina di Napoli e di Sicilia, alta, snella, intelligente e consapevole del proprio rango, ebbe un’educazione raffinata, improntata a una rigida etichetta di corte. A sedici anni si vide sposa, malvolentieri, di Ferdinando IV di Borbone, Re di Napoli e di Sicilia, da lei ritenuto brutto e grossolano, aggravato dal dialetto con cui si esprimeva e dalla tendenza ad esimersi dalle sue responsabilità, cui era solito anteporre la caccia, la pesca e gli spettacoli.
La regina tuttavia, ambiziosa e volitiva, riuscì a imporsi come figura autoritaria, tant’è che di fatto governò il Regno di Napoli al posto del marito Ferdinando IV. Durante il suo dominio si mostrò favorevole alle idee illuministiche e incentrò i primi venti anni di regno al rinnovamento politico-economico. Al suo dispotismo illuminato si deve la nascita dello Statuto di San Leucio – la prima raccolta di leggi pensata da una donna nell’interesse delle donne – teso a regolare la vita all’interno della Real Colonia di San Leucio, nel Regno di Napoli. Qui, donne e uomini vissero da eguali, con pari compensi e stesse prerogative; alle donne fu data la possibilità di studiare e gli vennero riconosciuti gli stessi diritti degli uomini, quali, a titolo esemplificativo, quello all’eredità, alla proprietà, all’educazione dei figli e alla scelta del compagno.

È proprio ai piedi del monte S. Leucio che la storia fa risalire la coltivazione del vitigno Pallagrello, fatto impiantare, per volere di Ferdinando IV di Borbone, sia a bacca bianca che a bacca rossa, nella  Vigna del Ventaglio (chiamata così per via della forma a spicchi) insieme ad altre pregiate varietà del Regno; l’antico nome del vitigno era Pedemonte, ma il vino da questo ottenuto giungeva alla tavola dei Borboni con l’appellativo “Vino del Re”.

Il Pallagrello bianco Maria Carolina, prodotto in 600 bottiglie, è un omaggio alla regina, pensato e curato dalla cantina “ALE.P.A” di Paola Riccio, donna dinamica e intelligente, dagli occhi vispi e un viso i cui tratti delicati ricordano i soggetti femminili dei dipinti di Tamara De Lempicka.

La cantina è situata  su un  poggio caiatino chiamato S. Giovanni e Paolo, in provincia di Caserta e a pochi chilometri dalla splendida Reggia che secoli or sono diede dimora alla Regina.

Paola eredita la proprietà nel 2003 e fin da subito, grazie anche al contributo offerto dall’enologo Maurizio De Simone, viene lanciato il progetto vino. La sinergia instaurata tra Paola, Maurizio e il territorio che li circonda, determina la scelta naturale dell’agricoltura biologica (non certificata), con l’esecuzione di pratiche antiche e rurali, come ad esempio la legatura della vite con i  rami di salice viminalis.

Anche l’introduzione del sistema del sovescio – consistente nell’interramento di tutta la vegetazione di una coltura, allo scopo di arricchire il terreno di sostanza organica – e della tecnica del sovrainnesto (oramai in via di estinzione), hanno definitivamente siglato la filosofia di una vita ecosostenibile, in armonia con la natura e gli essere viventi.

Tre ettari di vigne di 25 anni si estendono nell’infinita vegetazione che, a perdita d’occhio, ricopre le colline casertane, dominate da un’accesa tonalità di verde. Le uniche note di colore che rompono quell’uniforme cromatura sono date dai fiori bianchi degli alberi di susino e dalle variopinte rose posizionate ai bordi dei filari della vigna. Questo angolo di mondo offre una sana rappresentazione del microcosmo, contenente anima e corpo, composto da cose semplici e pure. La quotidianità, in questo luogo, non è mai banale, risultando anzi impreziosita da una realtà onirica, a metà tra sogno e realtà.

Le varietà di uva allevate, oltre al pallagrello, sono greco, falanghina, aglianico e cabernet sauvignon; quest’ultimo vitigno, in particolare, è impiegato per la produzione del “Privo”, vino ottenuto senza aggiunta di solfiti, ma semplicemente utilizzando composti ricavati dai vinaccioli delle stesse uve che, svolgendo azione antibatterica ed antiossidante, eliminano la necessità di ricorrere alle solfitazioni.

La produzione totale di Ale.p.a. e’ di 15.000 bottiglie e, come si è visto, 600 di queste contengono il Maria Carolina.

Il colore di questo Pallagrello bianco, annata 2011, ricorda quello dell’oro, luminoso e limpido; i profumi sono austeri e concentrati su note tostate di orzo e nocciola, aprendosi poi ad intense sensazioni di foglia di pomodoro, origano e fini rintocchi iodati; riconoscimenti di mela cotta e albicocche completano il corredo aromatico. All’assaggio delinea potente struttura e corpo,  scandendo con chiarezza la freschezza rilasciata dalla spalla acida; la sapida mineralità e i toni fumé, inoltre, recano persistenza viva e integra. L’affinamento in legno rilascia una nuance speziata,  determinando profondità e complessità.

Dopo una lunga e lenta fermentazione a temperatura controllata, il vino sosta in tonneaux per otto mesi e in acciaio per altri quattro. Prima della messa in commercio sono infine necessari ulteriori sei mesi di affinamento.

Il Maria Carolina è un vino di razza e dalla chiara personalità.

Ho avuto modo di berlo accostato ad un piatto di ziti con sugo alla genovese e devo dire che l’abbinamento è risultato perfetto. Suggerisco comunque di provarlo anche con formaggi erborinati, carpaccio di carne e piatti a base di verdure, sia cotte che crude.

“Una donna è spesso punita più per le sue virtù che per i suoi vizi”

Paul Brulat, Pensieri, 1919


www.lucianopignataro.it

Gocce di emozioni

http://www.doctorwine.it/det_articolo.php?id_articolo=937
di Antonella Amodio 16-10-2013

Il filosofo greco Eraclito disse: uno è per me diecimila, se è il migliore; e sempre Eraclito è colui che per primo parla della “polemos”, letteralmente la guerra, fra contrari, il dualismo degli opposti in base al quale ogni cosa è ciò che è proprio perché il suo contrario ne delimita e definisce l’essenza. Sappiamo che è giorno perché conosciamo la notte, quindi definiamo il giorno come ciò che si oppone alla notte, se non ci fosse la notte non potremmo sapere cosa è il giorno. Non esisterebbe luce senza buio, salute senza malattia, sazietà senza fame, ogni cosa raggiunge la sua definizione dal confronto con il suo contrario. Analoga enunciazione si potrebbe fare per il vino, la sacra bevanda, eccellente o scadente, buono o cattivo, aspro o dolce, dove proprio questa contesa creare quell’equilibrio necessario a perpetuarne l’esistenza.
Il vino prodotto da Michele Perillo è paragonabile "all’uomo solo che ne vale diecimila"(secondo quanto ha affermato Eraclito in riferimento al concetto di eccellenza), cioè è il migliore, è unico, è l’essenza il cui assaggio trascina i sensi nella semplicità e grandezza dell’essere umano. Ogni sorso è un fotogramma della terra che lo genera, della passione e dell’orgoglio dell’uomo che lo alleva e nella rispettosa attesa che la natura compia il suo percorso… senza fretta. Con semplicità Michele racconta della sua visione del tempo che non può essere afferrato, né trattenuto né toccato, può solo essere definito in base a ciò che è accaduto nel passato, ed è il metodo per calcolare la distanza tra la vita e la morte.
Esempio di attesa e tempo è il vino Taurasi che produce con il clone di aglianico coda di cavallo, allevato a piede franco in contrada Baiano con viti centenarie. Un fuoriclasse. Del bianco Coda di Volpe ne produce 1.600 bottiglie con i pochi filari di uva bianca (un ettaro circa) in terra di uva rossa, suo padre lo vinificava per il consumo familiare.
Castelfranci dove ha sede la cantina sorge su un declivio del fiume Calore a circa 500 metri sul livello del mare, non a caso era la fermata dell’antica ferrovia del vino, ossia la tratta Avellino-Rocchetta Sant’Antonio utilizzata per il trasporto delle uve in Francia. E’ uno di quei comuni dell’Irpinia dove il vino rappresenta davvero un elemento naturale dal quale non si può prescindere; il paese è circondato da vigneti e uliveti, è di costruzione medievale con vicoli, chiese, palazzi gentilizi e portali scolpiti in pietra.
Michele Perillo in questi anni non ha inseguito mode e tendenze, i vini che produce dal 1999 sono immutati nell’impostazione, la cantina è rimasta la stessa, gli ettari pure, la degustazione avviene da sempre nella loro cucina, cuore pulsante di casa Perillo quasi a condividere i momenti e gli oggetti dell’intimità familiare, e dove si scorge anche il profumo dell’umiltà e dell’onestà che hanno impregnato pareti e arredo.

Coda di Volpe 2010
Irpinia Doc
Perillo

Punteggio » 90
Categoria » Rosso
Regione » Campania
Nazione » Italia

Il millesimo in commercio del Coda di Volpe è il 2010, ed è una fortuna trovarne ancora qualche bottiglia, bisognerà pazientare l’uscita della prossima annata che Michele ancora non ha previsto. Il colore è particolarmente intrigante nella tonalità accesa di giallo oro, compatto e senza nessun cedimento di nuance. Riconosco fragranze di frutti mediterranei come limone, mela annurca, pesca gialla e susina. Sembra vestire un pastrano che ammanta una parte dei profumi e dopo qualche minuto nel bicchiere scopre la sua vera personalità e grandiosità. Ed ecco che note fumé, di liquirizia e curry si alternano alle scie fruttate. All’assaggio si rivela brioso con acidità evidente, ha struttura e gioventù, stupisce per la presenza di sfumature di humus e pepe bianco. E’ un vino sottile, coinvolgente ed emozionante.

11 Euro




giovedì 6 marzo 2014

Fegato di vitello con cipolle stufate su purea di cavolfiore

Pubblicato in Doctor Wine n°31
http://www.doctorwine.it/det_articolo.php?id_articolo=1017 
di Katiuscia Rotoloni 07-12-2013
Ingredienti per 4 persone:
- 2 fette di fegato di vitello
- 2 cipolle bianche medie
- 1 cavolfiore
- 1 bicchiere di vino bianco
- 50 g burro
- Sale e pepe q.b.


Procedimento:
Cuocere il cavolfiore a pezzi in acqua salata con un cucchiaio d’aceto. Trasferirlo, quindi, in una ciotola con piccolo mestolo di acqua di cottura, sale, pepe; frullarlo con un mixer ad immersione aggiungendo olio a filo fino ad ottenere una purea liscia.
In un padella stufare la cipolla in poco burro e acqua per circa venti minuti a fuoco basso con un coperchio. Quando sarà diventata morbida, trasferirla in una ciotola.
Nella stessa padella, mettere una noce di burro, farlo spumeggiare, quindi aggiungere le fette di fegato facendole rosolare da ambo i lati. Infine sfumare con il vino e lasciarlo evaporare. Salare e pepare quando sarà cotto, lasciandolo morbido e rosa al centro.
Mettere sul fondo di un piatto piano la purea di cavolfiore , il vitello e su tutto la cipolla stufata, aiutandosi sempre con un coppapasta rotondo. Decorare con qualche cappero dissalato.

Vino in abbinamento:

Chardonnay Sicilia Doc Principi di Butera


Un vino ampio, dai toni di frutta tropicale, ricco ed armonico.
Zona di produzione: comuni di Butera e Riesi in provincia di Caltanissetta.
Uve: chardonnay in purezza.
Vinificazione e affinamento: il mosto inizia la fermentazione in acciao inox a temperatura controllata di 20°C. Successivamente viene travasato in tonneaux da 350 litri di media tostatura dove prosegue il processo di fermentazione per altri 20 giorni. A una lunga maturazione sui lieviti segue un affinamento in bottiglia per alcuni mesi.
Gradazione alcolica: 13% in volume
Temperatura di servizio: intorno ai 12°C.

QUESTA RICETTA E' OFFERTA DA PRINCIPI DI BUTERA

martedì 4 marzo 2014

LASAGNA AL RAGU’

Tipica della cucina Emiliana, e diffusa in tutta Italia, anche se con varianti regionali, è ormai conosciuta e apprezzata in tutto il mondo. La sua origine è antichissima, tanto che Apicius ne parla nella sua nel “ De re coquinaria” dove cita un impasto di acqua e farina, lessato e posto entro una “làgana”, ovvero un recipiente.
Nel corso dei secoli la lasagna si è arricchita di ingredienti diventando il tipico piatto delle feste italiane, da consumare dalla famiglia riunita per l’occasione, diventando, anche, la regina del Carnevale napoletano, dove si mangia tradizionalmente a chiusura della goliardica festività, prima che inizi il periodo quaresimale.
Se ne conoscono infinite ricette regionali: nella tradizione emiliana è composta da strati di sfoglia conditi con ragù bolognese, besciamella, Parmigiano Reggiano e cotta in forno .
In Liguria, invece del ragù e della besciamella, si usano  pesto, patate bollite a rondelle e fagiolini lessi.
In Veneto il Radicchio Rosso di Treviso saltato viene usato al posto del ragù.
Nelle Marche e in Umbria, si trovano i vincisgrassi, al cui ragù a volte si aggiungono fegatini di pollo, animelle, midollo osseo e, talvolta, tartufo.
In Campania ed in Sicilia la ricotta sostituisce la besciamella e  la lasagna si arricchisce di uova sode, polpettine di carne fritte, formaggi vari e spesso ortaggi. (lasagna riccia, la tipica lasagna di Carnevale a Napoli sopracitata).
Oggi prepareremo una lasagna nella versione emiliana, eseguita secondo gli insegnamenti di Maria, cuoca esplosiva nel fisico come nel carattere e proprietaria di una pensione-ristorante nei pressi di Cesenatico.

Ingredienti per 6 persone:
Per la pasta:
350 gr farina 00
150 gr grano duro
5 uova intere
1 cucchiaio d’olio extravergine di oliva

Per il ragù:
700 gr macinato di manzo
300 gr maiale macinato
1 carota media
2 coste sedano
1 cipolla media
Mazzetto aromatico (alloro, rosmarino, salvia, porcini secchi)
1 spicchio aglio
1 cucchiaio concentrato pomodoro
3 cucchiai passato pomodoro
1 bicchiere latte
1 bicchiere vino rosso secco
1 tazzina olio extravergine di oliva
Sale e pepe

Per la besciamella:
1 lt latte intero
40 gr burro
70 gr farina 00
Noce moscata
Sale q.b.

Per farcire:
150 gr parmigiano grattugiato
Una noce di burro

Procedimento:
Preparare il ragù: Tritare finemente (brunoise) la cipolla, il sedano e le carote, metterle in un tegame (possibilmente di terracotta) con l’olio, poco brodo caldo e far stufare per circa 20 minuti, aggiungendo un po’ di brodo quando necessario.
Preparare, intanto, il mazzetto aromatico legando con lo spago da cucina le erbe e 2-3 pezzi di porcino secco arrotolati in una garza.
In una larga padella antiaderente preriscaldata, scottare a fuoco vivace le carni tritate. Sfumare con il vino rosso, lasciandolo evaporare, quindi toglierle con una schiumarola e unirle alle verdure stufate. Deglassare il fondo con un bicchiere di brodo o acqua calda.
Aggiungere nel tegame anche il concentrato, il passato, il mazzetto aromatico ed il fondo della carne, sale e pepe q.b.
Far sobbollire per circa 3 ore, aggiungendo il latte mezz’ora prima di spegnere. Si dice che il ragù è pronto quando il cucchiaio rimane dritto nella salsa.

Nel frattempo preparare la besciamella facendo bollire il latte insieme al sale. In una padella fare il roux biondo con burro e farina, unire il latte caldo a filo e mescolando per evitare la formazione di grumi. Fare addensare continuando a mescolare, grattarvi un po’ di noce moscata alla fine. Se la besciamella dovesse comunque presentare dei grumi, usare un frullatore ad immersione per eliminarli. Coprire con pellicola a contatto.

Preparare anche la pasta. Fare una fontana con le farine setacciate, mettere al centro le uova, l’olio e mescolare con la forchetta. A questo punto impastare con le mani finchè il composto sarà liscio ed omogeneo.
Far riposare sotto un piatto fondo rovesciato per mezz’ora. Stendere con il matterello, o con l’apposita macchinetta, una sfoglia sottile e tagliare dei rettangoli piuttosto grandi.

Una volta pronte, sbollentare in abbondante acqua salata e con un filo d’olio per 2-3 minuti, toglierle con una schiumarola e immergerle in acqua ghiacciata e salata. Scolare e lasciarle asciugare su un canovaccio pulito.


Disporre sul fondo di una teglia uno strato di besciamella, uno di sfoglia, quindi sopra il ragù ed il parmigiano, coprire con la pasta e la besciamella, e continuare con una sfoglia, ragù e parmigiano. Replicare per 7 strati, come dice la tradizione. Coprire l’ultimo strato di pasta con ragù, besciamella, parmigiano e qualche fiocco di burro.  Cuocere in
forno preriscaldato a 180 °C per circa 30 minuti coperta con carta stagnola per i primi 20, quindi gratinare.

FINALMENTE PRONTA...

Non resta che mangiarla, sorseggiando un vino giovane e fruttato come un buon Lambrusco secco,  abbinamento ideale che parla emiliano...
NON SI CONSIGLIA LA MODERAZIONE...